S’iscravamentu, dalla Catalugna alla Sardegna, tradizioni folkloristiche che uniscono.
In ogni angolo dell’isola, vengono celebrate sia le ricorrenze legate al cristianesimo che quelle che invece hanno radici più antiche e attingono alla cultura pagana prima di Cristo.
Con il passare dei secoli, queste tradizioni si sono fuse e integrate con altre provenienti dai popoli che hanno conquistato questa terra. L’influenza culturale delle varie popolazioni è finita per diventare parte integrante della tradizione popolare sarda che ne ha fatto suoi alcuni tratti.
Un esempio di queste fusioni è certamente il rito de “s’iscravamentu” (lett. : “lo schiodamento“).
La tradizione lo fa risalire al 1606, quando un veliero salpato ad Alicante e diretto a Genova, a causa di una tempesta, naufragò, per finire nelle coste sarde (a Porto Conte, Alghero). Tra i resti del carico della nave, venne alla luce un crocefisso a grandezza naturale, rappresentante un Gesù molto realistico, con le braccia snodate e i chiodi e la corona estraibili, risalente al XVI sec. Il crocefisso venne affidato alla confraternita della Chiesa della Misericordia. Da allora ogni venerdì santo (il venerdì prima del giorno di Pasqua), tale crocefisso è il protagonista di un rito che coinvolge tutta la comunità, detto appunto s’iscravamentu. Una tradizione simile è presente anche in Catalogna, da cui appunto ha origine (el desclavement).
Da Alghero, questa usanza si diffonde in tutti i centri della Sardegna (sopratutto quelli costieri), che avevano avuto a che fare maggiormente con la civiltà catalana. Oggi è una delle tradizioni folkloristiche più caratteristiche dell’isola, sia per quanto riguarda la teatralità con cui viene messa in atto, sia per il coinvolgimento delle comunità ancora molto elevato, ma anche per i suoi toni cupi e a tratti inquietanti, che si sposano bene con la disperazione di Maria la mamma di Gesù, che vede il suo unico figlio morire ingiustamente sulla croce.
A Trinità d’Agultu, la funzione è animata dalla confraternita della SS.Trinità, che in collaborazione con il parroco e tutta la comunità, rievoca il calvario di Gesù, con una processione per le vie del paese.
Ogni tappa della processione (i misteri gloriosi) ha luogo in una casa che si prende l’onore e l’onere di preparare un piccolo altare al suo esterno, per accogliere Gesù.
La statua viene portata dai membri della confraternita che vestono di bianco e indossano un cappuccio a punta che nasconde i loro volti. Dietro la statua del Gesù, in processione, viene portata anche la statua della Madonna Addolorata, rigorosamente vestita di nero. Durante la via crucis, vengono intonati laudi popolari, talvolta molto struggenti, che rievocano il dolore della madre che perde il figlio e lo cerca disperatamente, senza darsi pace.
Eccone alcuni estratti:
“Vidu l’azzisi a fizzu meu? In custu logu est passadu?” (avete visto mio figlio? E’ passato di qua?)
“A mie tocca su piantu, a mie su sentimentu, cae so affliggida tantu. Chie ta mortu e chie?” (A me tocca il pianto e la sofferenza, perché sono tanto afflitta. Chi ti ha ammazzato, chi?)
Finita la processione lungo le vie del paese, si giunge alla tappa finale, che si svolge nella chiesa nuova della SS. Trinità, dove i membri della confraternita, sempre accompagnati dai canti corali, si accingono a deporre dalla croce Gesù, togliendo appunto i chiodi (s’iscravamentu) dalle mani e dai piedi del Cristo, e la corona di spine dal suo capo.
Quest’ultima viene deposta sulla testa della madonna, mentre i chiodi con le tenaglie con cui sono stati tolti, vengono adagiati ai suoi piedi in segno di rispetto e consolazione. La statua del Gesù viene poi deposta su una lettiga, ornata di fiori, per preparare simbolicamente la salma alla sepoltura.
Da questo momento in poi si osserva un ossequioso silenzio, quasi surreale, che durerà fino alla domenica di Pasqua, giorno in cui risorgerà Gesù. Anche le campane smettono di suonare.
Località dove questa usanza ha dei toni ancora più particolari e teatrali sono sicuramente Alghero, dove la deposizione dalla croce viene effettuata dai “baroni siriaci”. Per impersonarli, le comparse sono vestite con abiti orientali.
Cambiano quindi leggermente le rappresentazioni, in base alla tradizione peculiare della città o del paese, ma il momento commemorato è lo stesso.
Travolgente e molto intenso, è uno dei tesori immateriali da vivere, della nostra terra.