Natale in Sardegna

#nataleinsardegna

Tradizioni e credenze di un popolo, che durano nel tempo.

Il Natale nell’isola era ed è vissuto come un periodo dell’anno molto gioioso, interamente dedicato alla famiglia. I pastori rientravano finalmente dalle lunghe transumanze del bestiame. Stando lontani da casa per svariati mesi, era un momento molto atteso dalle donne e dai bambini. Le madri riabbracciavano i loro mariti e i bambini i loro padri.

Oggi, la lontananza dalla famiglia non è più dovuta alla transumanza del bestiame. Figli, nipoti e padri di famiglia sono costretti a lasciare l’isola per studio o per un lavoro “moderno”.

Il natale tuttavia continua comunque a rimanere un evento da passare nel focolare domestico. Ragione per cui, la maggior parte degli emigrati ha sicuramente già pronto il biglietto di ritorno a casa.

Ci sono poi dei casi in cui purtroppo, la maggior parte della famiglia d’origine vive altrove. Ma anche qui il sardo dimostra un legame indissolubile con il proprio sangue. Così chi è rimasto nell’isola “emigra” temporaneamente “in continente” o addirittura in un altro Paese per passare le festività con la famiglia al completo. Le nonnine che magari non hanno mai preso un aereo, si fanno coraggio e affrontano il viaggio. Onorare le tradizioni e continuare ad essere un baluardo dell’unione familiare è per loro una ragione di vita, e come si suol dire “se Maometto non va alla montagna, è la montagna che va da Maometto”.

Ma cosa intende il sardo per famiglia?

Se si chiede ad un sardo di elencare i membri sua famiglia, questi non ci nominerà di certo solo i parenti più stretti. Alla cena della Vigilia di Natale, infatti ci si ritroverà in una trentina di persone tra nonni (per chi è fortunato), genitori, zii, cugini, figli di cugini e pronipoti. Lo stesso avviene per il giorno di Natale, quello di S.Stefano fino all’Epifania.  Il rapporto non viene rispolverato solo in occasione delle festività. Tutto l’anno, nonostante la lontananza, ci si sente costantemente e si mantengono i legami.

Chi ha la fortuna di nascere in una famiglia così può stare sicuro di poter contare su molte persone. A sua volta si è portati a dare il proprio appoggio e sostegno incondizionati, quasi come se si fosse figli di tante mamme e papà o fratelli di tanti cugini. Durante questi pranzi e queste cene, tra un bicchiere di vino e una porzione di porcheddu sardo, si chiacchiera, si discute, si fanno annunci ufficiali e si sta insieme. In fondo il sardo non conosce e non ama la solitudine.

In passato, oltre alla già larga cerchia familiare, la gioia della condivisione si estendeva anche al vicinato. Le famiglie più abbienti infatti, erano solite donare a quelle più povere pane, carne, formaggio e dolci. Quando i vicini venivano a portare i doni, era un’occasione per passare del tempo insieme e scambiare due parole. In questo modo la comunità rimaneva unita e solidale.

Una riprova del fatto che anche il vicinato era una parte molto importante della vita del sardo è la credenza popolare secondo la quale i nati tra il 24 e il 25 dicembre preservavano dalle disgrazie 7 case del vicinato.  Oltre al beneficio del vicinato, era credenza comune che le nascite comprese tra la Vigilia di Natale e il giorno di Natale, garantissero al fortunato/a una salute di ferro ed una conservazione eccezionale del corpo anche dopo la morte. Il Natale quindi era un periodo dell’anno molto importante e non solo per la tradizione religiosa cristiana.

Legate al periodo natalizio infatti, sono anche altri riti della diffusa religiosità pagana.

In Sardegna ogni paese, soprattutto in passato, aveva le proprie bruxas” o “deinas” ovvero persone che praticavano la magia bianca. I loro saperi venivano custoditi gelosamente per tutta la vita. Quando però giungeva la vecchiaia, ci si doveva assicurare che qualcuno prendesse il loro posto.

Il momento dell’anno in cui si potevano passare questi saperi, compresa l’abilità di togliere il malocchio (l’ea di l’occi) era ed è proprio quello tra Natale e l’Epifania.

 

La casa, durante il periodo natalizio,  veniva riscaldata con un tronco di albero chiamato “truncu de xena” o “cotzia de xena”. Veniva posizionato dentro il caminetto che per l’occasione veniva previamente imbiancato. Il pezzo di legno rimaneva acceso dalla vigilia di Natale fino all’Epifania e si usava sia per cucinare che per riscaldare l’intera casa.

L’agnello o il capretto era mangiato come carne prelibata per ringraziare madre natura dei suoi frutti. Si mangiava anche il porcheddu arrosto e formaggi e salumi.

Per finire il pasto non mancava mai una bottiglia di filu’e ferru insieme a svariati dolci natalizi di cui parleremo nel prossimo articolo…

Seguiteci e buoni preparativi!